La visita a Roma del Presidente iraniano Ruohani, del 26 gennaio 2016, sarà ricordata, non per le buone intese politiche intercorse, né per gli oltre quindici miliardi di euro di accordi commerciali, ma per tre statue femminili vistosamente coperte nei Musei capitolini, sede dell’incontro tra l’illustre Ospite ed il nostro Presidente Renzi.
La notizia ha riempito le prime pagine dei giornali italiani, sui quali si sono espressi perfino i più importanti commentatori, ma ha anche travalicato i confini nazionali, rimbalzando sulla stampa straniera in modo evidente.
C’è un battuta pubblicitaria televisiva che dice: “ti piace vincere facile?”. Così accade a molti redattori in questa occasione, perché ciascuno ha trovato una strada spianata in discesa, che gli ha consentito di alzare la propria voce critica per indignarsi dell’accaduto, sapendo di trovare un consenso generale.
L’episodio è, infatti, di quelli che attirano immediatamente critiche da tutti i fronti possibili.
Noi dobbiamo valutarlo con serenità.
E rileviamo anzitutto che nel cerimoniale la regola dello jus loci è sempre temperata da quella dell’ospitalità: si vuole, cioè, che l’ospite non sia mai posto in condizioni di disagio.
Il possibile disagio può avere origini varie, e tutte vanno considerate.
Per gli aspetti formali o protocollari della visita, il Governo italiano doveva, nel caso specifico, garantire che Rouhani fosse accolto con ritualità adeguate al rango e trattato nel corso della visita, con i medesimi criteri, che fossero offerte le ospitalità rituali di tali occasioni, che fosse preservata la sua sicurezza e la sua immagine nel corso della visita. Ciò comportava anche, fra l’altro, garantire che egli non comparisse, in immagini pubbliche, al fianco di statue rappresentanti corpi femminili nudi o a fianco di bottiglie di alcolici in contesti conviviali.
Era bene accogliere queste richieste di parte iraniana? E l’eventuale accoglimento poteva comprimere la sovranità del nostro Paese?
Sui giornali si è parlato di atto di sottomissione, riferendosi, in particolare, alla copertura delle statue.
La scelta scenografica degli uffici del cerimoniale italiano è stata adottata tenendo presenti le ragioni politico diplomatiche che suggerivano di non frapporre alcun elemento che potesse avere effetti negativi per l’Ospite, essendo egli espressione di un indirizzo più moderato nel contesto geopolitico di provenienza e pertanto da favorire in ogni modo possibile, nell’interesse della nostra politica estera.
Immagini non appropriate avrebbero potuto offrire ai suoi oppositori interni strumento per attacchi politici. E, qualora strumentalizzate, avrebbero potuto indurre l’autorità religiosa locale a sospendere le funzioni del proprio Presidente.
Tutto ciò premesso, la scelta adottata dagli uffici del cerimoniale era, pertanto, senza dubbio motivata. Si può criticare la soluzione tecnica adottata, che ha reso troppo evidente l’adozione di accorgimenti eccezionali.
Scegliere un percorso od una sala differenti avrebbe eliminato il problema in radice.
La sottomissione, tuttavia, non c’è stata. Anzi, la capacità di adeguare i propri comportamenti alle esigenze incomprimibili dell’ospite è espressione di spirito laico, rispettoso di ogni diversità, che solo in occidente può essere manifestato, e che testimonia una “superiorità” del nostro mondo rispetto agli altri. Superiorità che collochiamo, tuttavia, tra virgolette, perché l’affermazione non è politically correct. Ed i fautori del relativismo potrebbero prenderla male.